CONTENUTI La storia della nascita della musica elettronica, corredata di immagini e file audio. Con il termine di musica elettronica si indica, in senso generico, tutta la musica che si avvale di apparecchi elettronici per produrre, analizzare e trasformare il suono. Tuttavia questa definizione, riportata anche da importanti dizionari enciclopedici della musica, necessita di alcune precisazioni: la musica elettronica non può essere definita come semplice conseguenza dello sviluppo delle nuove tecnologie, ne come una banale ricerca di nuove timbriche, ma come una ulteriore tappa di quella evoluzione del linguaggio musicale che era già in atto nella musica colta occidentale, molto tempo prima dell'invenzione dei primi strumenti elettronici. Di fatto, anche nella musica leggera, (pop, rock, commerciale, ecc.), da più di quarant'anni, si fa largo uso di apparecchiature elettroniche, ma al solo scopo di creare un sound accattivante che possa favorire il successo commerciale di un determinato disco o cantante. In questo tipo di musica, le possibilità timbriche nuove, offerte dagli strumenti elettronici, vengono impiegate in un contesto musicale fatto di nessi linguistici e grammaticali tradizionali: melodia, tonalismo o quanto meno modalismo diatonico, armonia semplice, ritmo simmetrico-continuativo e naturalmente uso del sistema temperato. La musica elettronica vera e propria, invece, riguarda quell'esperienza compositiva, nata alla fine degli anni quaranta, la quale, grazie alle potenzialità offerte dai nuovi mezzi elettronici di produzione musicale, che proprio in quegli anni cominciavano a svilupparsi, ha allargato il campo delle possibilità foniche e dei modi di creazione artistico-musicale. Essa si pone storicamente come la naturale evoluzione di un percorso artistico che nell'arco di un secolo ha segnato: la crisi del sistema tonale; la progressiva rivalsa dell'elemento timbrico rispetto agli altri elementi costitutivi della musica tradizionale, quali la melodia, l'armonia e il ritmo; e un interesse sempre maggiore per i suoni ad altezza indeterminata, i cosiddetti rumori. Questi ultimi, in particolare, nella musica occidentale, avevano sempre avuto un ruolo marginale rispetto ai suoni ad altezza definita, i quali meglio si adattavano ai sistemi musicali che, a partire dalla scala pitagorica dei greci, passando per la scala naturale zarliniana del XVI secolo, fino al sistema temperato, introdotto nel XVIII secolo, hanno caratterizzato la nostra storia della musica. Come afferma Karlheinz Stockhausen, uno dei massimi esponenti della musica elettronica, si giunse a questa musica quando, «a partire dal 1950, si cominciò a mettere in discussione tutto ciò che costituisce la musica europea: non solo il linguaggio musicale, la sua grammatica i suoi vocaboli, ma anche il materiale sonoro finora usato, i suoni stessi. Già a cavallo del secolo si voleva dire qualcosa di nuovo, ma si continuava a servirsi dei vecchi segni sonori. Si arrivò così ad una contraddizione tra la natura fisica dei suoni strumentali usati fino ad allora e le nuove concezioni formali della musica». «Nella musica "armonica" il materiale sonoro e la particolare costruzione degli strumenti corrispondevano strettamente alla forma musicale. L'armonia fra struttura del materiale e forma fu definitivamente distrutta, nell'ambito della musica strumentale, dalla musica dodecafonica e dalle conseguenze cui essa ha portato». Ma «la musica dodecafonica radicale della prima metà del secolo appare "impura", perché si è servita del materiale sonoro dato, in maniera non funzionale. Nelle composizioni dodecafoniche i rapporti armonici e melodici tra i suoni fondamentali non hanno niente in comune con i rapporti microacustici all'interno dei suoni strumentali». (vedasi "die Reihe" 3, pag. 23) I primi centri di musica elettronica sorsero all'interno degli studi radiofonici di alcune grandi capitali europee e mondiali, in quanto le prime apparecchiature, allora costosissime, per poter creare, elaborare e registrare i suoni, sono state create proprio per le trasmissioni radiofoniche. Tra questi centri, tre rivestiranno un'importanza particolare per i futuri sviluppi, ognuno dei quali, specialmente agli inizi, con una propria concezione stilistica: La "musica concreta" del centro Parigi; La "musica elettronica pura" di Colonia; L'empirismo dello studio di Milano. necessarie per specialmente nei primi anni, si distinguono la musica concreta e la musica elettronica pura, entrambe registrate su nastro magnetico; in seguito fecero la loro comparsa anche la musica che combina l'esecuzione dal vivo con sonorità elettroniche registrate e il "live electronic", musica elettronica da eseguirsi in tempo reale. La possibilità di registrare i suoni, naturali o artificiali, e di rielaborarli attraverso le apparecchiature di missaggio e di combinazione, apriva strade nuove nella strumentazione timbrica. I suoni degli strumenti percussivi, come per esempio quelli del vibrafono e del pianoforte, così come i rumori, che nella realtà tendono alla dissolvenza, adesso, attraverso la retroversione, hanno la possibilità del "crescendo". Strumenti dal suono delicato, come quello di un flauto, attraverso il missaggio possono prevalere anche su blocchi orchestrali massivi, come il fortissimo del "tutti" orchestrale. Scompare la figura dell'interprete, perlomeno nelle prime esperienze visto che gli sviluppi successivi al 1960 hanno portato a molteplici integrazioni tra musica dal vivo e nastro registrato; mentre viene introdotta la figura del tecnico del suono, che conosce a fondo le apparecchiature dello studio e collabora con il musicista nella realizzazione delle composizioni. (Appunti) Come afferma lo stesso Luciano Berio, lo studio di Fonologia di Milano è stato importantissimo per molti musicisti perchè è stato il primo a tentare una sintesi delle diverse possibilità, delle diverse strade che già avevano intrapreso altri studi come quelli di Parigi, Colonia e New York.